Niente è buono o cattivo se non è tale nel nostro pensiero.
(William Shakespeare – Amleto)
La terapia cognitiva nasce nei primi anni ’60, grazie alle intuizioni di Aaron T. Beck nell’Università della Pennsylvania, per trattare la depressione, in modo strutturato, breve e orientato nel presente, volto a risolvere i problemi attuali, lavorando sulle convinzioni ed il comportamento del paziente. Da allora questo modello è stato adattato ed ampliato anche per il trattamento di una vasta gamma di problematiche, mantenendo costanti le assunzioni teoriche e modificando focus, tecnica e durata del trattamento.
Qual è quindi il presupposto da cui si parte quando si lavora secondo questo approccio?
Il modello cognitivo ipotizza che le manifestazioni di sofferenza psicologica siano accumunate da modalità di pensiero sostanzialmente irrazionali o comunque poco funzionali al raggiungimento dei propri scopi.
In altre parole, le nostre emozioni ed i nostri comportamenti sono influenzati da “come” noi valutiamo gli eventi. Non è una situazione in sé a determinare ciò che sentiamo in quel momento, ma è piuttosto il modo in cui noi interpretiamo (pensiamo) tale situazione a renderci tristi, arrabbiati, entusiasti, gelosi, spaventati, etc…, e a farci agire di conseguenza a tali stati d’animo.
Sono proprio i nostri pensieri a mediare, come un paio di occhiali, la lettura di una situazione e le conseguenze di un’interpretazione rispetto ad un’altra. Il nostro modo di pensare deriva, a sua volta, da credenze o convinzioni molto profonde che abbiamo sviluppato e fortificato nel corso della nostra crescita; ha, dunque, un profondo senso storico e non è necessariamente errato, ma, ad un certo momento della vita, può rivelarsi meno utile nell’affrontare nuove situazioni.
Lavorare secondo questo modello teorico implica provare ad agire su queste convinzioni aprendosi delle nuove alternative, che possano risultare percorribili e più efficaci per il raggiungimento dei propri scopi.
Durante il percorso terapeuta e paziente procedono come una coppia di scienziati, costruiscono e sperimentano ipotesi, testano il cambiamento dapprima il laboratorio (seduta) e poi fuori (nella vita quotidiana del paziente), ognuno contribuendo con la propria competenza specifica: il terapeuta come esperto nelle tecniche utilizzate ed il paziente come esperto di se stesso e dei suoi vissuti.
Oggi il modello cognitivo-comportamentale è considerato un trattamento psicologico d’elezione per molti problemi emotivi e comportamentali.
L’approccio cognitivo-comportamentale origina dalla combinazione di due forme di terapia:
- la terapia cognitiva, che aiuta ad identificare i pensieri ricorrenti, gli schemi abituali di interpretazione della realtà che causano le emozioni negative, e a sostituirli con pensieri più oggettivi e funzionali al benessere della persona;
- la terapia comportamentale, che punta al cambiamento del nostro modo di reagire a quelle situazioni che ci creano difficoltà, tramite l’apprendimento di nuove modalità di reazione (emozioni e comportamenti).
Si tratta di una disciplina scientificamente fondata, utilizzata per il trattamento di varie problematiche, come:
- disturbi d’ansia (attacchi di panico, fobie, ossessioni e compulsioni, ecc.);
- disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare);
- disturbi nella sfera sessuale;
- disturbi della personalità;
- disturbi del sonno;
- dipendenze;
- disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, ecc.);
- problemi di bassa autostima.
Per riassumere, l’approccio cognitivo-comportamentale è dunque:
- Centrato sul presente;
- Pratico e concreto;
- A breve termine;
- Orientato ad uno scopo;
- Attivo e collaborativo, perché sia il terapeuta che il paziente giocano un ruolo attivo nella terapia;
- Scientificamente fondato, infatti è stato dimostrato da numerosi studi che i metodi cognitivo-comportamentali costituiscono una terapia efficace per numerosi problemi di tipo clinico:
- Adatto al trattamento individuale, di coppia e di gruppo.